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«Credevo che fosse...»
«... e io avevo...»
«... paura.»
Piggy stava sopra di loro sulla piattaforma, sempre con la conchiglia in mano.
«Erano Jack e Maurizio e Roberto,» disse Ralph. «Come si divertono!»
«Mi sembrava che mi stesse per venire l'asma.»
«Al diavolo il tuo miasma.»
«Quando ho visto Jack ero sicuro che sarebbe andato a prendere la conchiglia,
non so perché.»
Il gruppo dei ragazzi guardava la bianca conchiglia con affetto. Piggy la pose tra
le mani di Ralph, e i piccoli, vedendo il simbolo familiare, cominciarono a tornare
indietro.
«Non qui.»
Ralph si mosse verso la piattaforma, sentendo la necessità del rito.
Egli andava avanti, con la conchiglia stretta tra le braccia, poi Piggy con l'aria
molto seria, poi i due gemelli, poi i piccoli e gli altri.
«Sedetevi tutti quanti. Hanno fatto un'incursione per prenderci del fuoco. Si di-
vertono. Ma...»
Nella mente di Ralph c'era come una persiana che si apriva e si chiudeva. Egli
voleva dire qualche cosa, ma la persiana si era chiusa.
Lo guardavano seri, nessun dubbio sulle sue capacità li turbava. Ralph si tirò via
dagli occhi quegli stupidi capelli e guardò Piggy.
«Ma... ah, sì, il fuoco! Certo, il fuoco!»
Scoppiò a ridere, poi smise, e invece parlò speditamente.
«Il fuoco è la cosa più importante. Senza il fuoco non possiamo essere salvati.
Anche a me piacerebbe tingermi la faccia come un guerriero e fare il selvaggio. Ma
dobbiamo tenere il fuoco acceso. Il fuoco è la cosa più importante dell'isola, perché,
perché...»
S'interruppe di nuovo, e si fece un silenzio pieno di dubbi e di stupore.
Piggy prontamente bisbigliò:
«Il salvataggio.»
«Ah, sì, senza fuoco non c'è salvataggio. Dunque dobbiamo stare al fuoco e far
del fumo.»
Quando tacque nessuno disse nulla. Dopo i molti discorsi brillanti che si erano
fatti proprio in quel posto, le parole di Ralph sembravano deboli anche ai piccoli. Al-
la fine Guglielmo tese le mani per avere la conchiglia.
«Ora che non possiamo più fare il fuoco lassù... perché lassù non possiamo più
farlo... ci vuole più gente per tenerlo acceso. Andiamo a questa festa, e diciamogli
che siamo troppo pochi, qui, per il fuoco. E poi, andare a caccia e il resto... fare i sel-
vaggi, cioè... dev'essere ben divertente.»
I due Sammeric presero la conchiglia.
«Dev'essere divertente, come dice Guglielmo... e ci ha invitati...»
«..alla festa...»
«..la carne....»
«..rosolata....»
«non direi di no a un po' di carne...»
Ralph alzò la mano.
«Non potremmo procurarci della carne anche noi?»
I gemelli si guardarono. Rispose Guglielmo:
«Noi non vogliamo andare nella giungla.»
Ralph fece una smorfia.
«Lui... lo sapete bene... ci va.»
«Lui è un cacciatore. Sono tutti cacciatori. È ben diverso.»
Per un po' nessuno parlò, poi Piggy disse, rivolto alla sabbia :
«La carne...»
I piccoli stavano seduti, assorti nel pensiero della carne, e con l'acquolina in
bocca. Sopra di loro il cannone sparò di nuovo, e una folata improvvisa di vento cal-
do fece stormire le foglie con un secco crepitìo.
«Tu sei uno sciocco,» diceva il Signore delle Mosche, «nient'altro che uno
sciocco, un ignorante.»
Simone mosse la lingua, ch'era tutta gonfia, ma non disse nulla.
«Non ti pare?» disse il Signore delle Mosche «non sei uno sciocco e basta?»
Simone gli rispose con la stessa voce senza suono.
«E allora,» disse il Signore delle Mosche, «faresti meglio a correr via e a gioca-
re con gli altri. Credono che tu sia un po' tocco. Tu non vuoi mica che Ralph creda
che tu sia un po' tocco, no? Ti è simpatico Ralph, no? E anche Piggy, anche Jack,
no?»
La testa di Simone era alzata un po' in su. I suoi occhi non si potevano staccare
dal Signore delle Mosche sospeso nel vuoto davanti a lui.
«Che cosa stai a fare qui tutto solo? Non ti faccio paura?» Simone ebbe un sus-
sulto.
«Non c'è nessuno che ti possa dare aiuto. Solo io. E io sono la Bestia.»
La bocca di Simone si aprì a fatica e vennero fuori delle parole comprensibili:
«Una testa di maiale su un palo.»
«Che idea, pensare che la Bestia fosse qualcosa che si potesse cacciare e uccide-
re!» disse la testa di maiale. Per un po' la foresta e tutti gli altri posti che si potevano
appena vedere risuonarono della parodia di una risata. «Lo sapevi, no?... che io sono
una parte di te? Vieni vicino, vicino, vicino! Che io sono la ragione per cui non c'è
niente da fare? Per cui le cose vanno come vanno?»
La risata echeggiò di nuovo.
«Su,» disse il Signore delle Mosche, «torna dagli altri, e dimenticheremo tutto
quanto.»
La testa di Simone girava, scoppiava. I suoi occhi erano semichiusi, come se i-
mitassero quella cosa oscena sul palo. Egli sapeva che stava per venirgli uno dei suoi
accessi. Il Signore delle Mosche si gonfiava come un pallone.
«Questo è ridicolo. Tu sai benissimo che non mi incontrerai altro che lì... dun-
que non cercar di fuggire!»
Il corpo di Simone era inarcato e rigido. Il Signore delle Mosche parlava con la
voce d'un maestro di scuola.
«Questo scherzo è durato abbastanza, davvero. Mio povero bambino traviato,
credi di saperne più di me?»
Ci fu una pausa.
«Ti metto in guardia. Sto per perdere la pazienza. Non vedi? Non c'è posto, per
te. Capito? Su quest'isola ci divertiremo. Capito? Su quest'isola ci divertiremo. Dun-
que non provarci nemmeno, mio povero ragazzo traviato, altrimenti...»
Simone si accorse che stava guardando dentro una gran bocca. Dentro c'era
buio, un buio che dilagava.
«... Altrimenti,» disse il Signore delle Mosche, «ti faremo fuori. Capisci? Jack e
Ruggero e Maurizio e Roberto e Guglielmo e Piggy e Ralph. Ti faremo fuori. Capi-
sci?»
Simone era dentro la bocca. Cadde e perse coscienza.
Capitolo 9
UNA VISIONE DI MORTE
Le nuvole continuarono ad ammucchiarsi sull'isola. Una corrente continua d'aria
calda s'innalzò tutto il giorno dalla montagna, salendo fino a tremila metri; masse
turbinose di vapore saturarono l'aria di elettricità. Nel tardo pomeriggio il sole non si
vedeva più e un chiarore sulfureo prese il posto della luce del giorno. Anche l'aria
che giungeva dal mare era calda e non dava nessun refrigerio.
L'acqua e gli alberi e la superficie rosea delle rocce persero ogni colore e le nu-
vole bianche e scure pesavano minacciose. Solo le mosche se ne rallegravano, le mo-
sche che annerivano il loro signore e facevano rassomigliare le budella gettate sulla
roccia a un mucchietto di carbone luccicante. Anche quando si ruppe la vena nel naso
di Simone e sgorgò fuori il sangue, lo lasciarono stare, preferendo il sapore piccante
del maiale.
Con la perdita di sangue l'accesso di Simone si mutò nella stanchezza del sonno.
Egli giaceva nell'intrico dei rampicanti mentre la sera avanzava e il cannone conti-
nuava a sparare. Alla fine si svegliò e vide confusamente la terra scura accanto alla
sua guancia. Tuttavia non si mosse ancora, ma restò così com'era, la guancia sulla
terra, gli occhi annebbiati fissi davanti a sé. Poi si rivoltò, piegò le ginocchia e si ag-
grappò ai rampicanti per tirarsi su. Allo scossone dei rampicanti le mosche volarono
via tutte insieme dalle budella, con un rombo simile a un'esplosione, poi vi si riattac-
carono. Simone si mise in piedi. La luce era sovrannaturale. Il Signore delle Mosche
stava in cima al suo palo come una palla nera.
Simone parlò ad alta voce alla radura:
«Che altro c'è da fare?»
Nulla gli rispose. Simone voltò le spalle alla radura e strisciò tra i rampicanti
finché raggiunse la penombra della foresta. Camminava tra i tronchi come uno spet-
tro, la faccia senza espressione, con grumi di sangue secco intorno alla bocca e sul
mento. Solo qualche volta mentre scostava le corde dei rampicanti e studiava il terre-
no per orientarsi, mormorava delle parole incomprensibili.
Dopo un po' i rampicanti diradarono le loro ghirlande, e dal cielo cominciò a
piovere tra gli alberi un po' di luce perlacea. Quella era la spina dorsale dell'isola, la
parte un po' elevata, sotto la montagna, dove la foresta non era più una giungla impe-
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