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Si starà a vedere! Non dipende dalla tua volontà: di-
pende da come andranno le cose. E tu non puoi essere
capace a mandare avanti la Casuccia, come faceva tuo
padre.
Mi dice sempre lo stesso!
Se non vuoi sentire, bisogna che prima si mutino.
Dipende da me? Io faccio quel che posso.
Berto, scalzo, scendeva nell aia e si metteva ad ascol-
tare, sotto la finestra; fingendo di prendere il fresco. Co-
sì, tutto quel che si dicevano Luigia e Remigio, i conta-
dini lo risapevano subito; e capivano meglio di loro che
il podere andava a rotoli.
Tordo non si licenziava perché non avrebbe potuto
trovare dove lavorare poco a quel modo; Picciòlo e Din-
da avevano deliberato di rimanere fino a quando sareb-
be stato possibile; e Berto voleva attendere un altro an-
no: lì, ormai, quasi tutti i lavori più faticosi erano finiti e
per l invernata aveva messo in serbo molte legna da bru-
ciare. Dunque, non gli conveniva la fretta.
Remigio sentiva la sfiducia; ma non sapeva bene di
che si trattava. Gli dicevano:
Per il podere, bisognerebbe spendere di più!
E avevano l aria di dirgli anche: «Lo sappiamo che i
denari non ci sono!».
Dopo questi discorsi, egli ricordava certe giornate;
quando, guardando il turchino, gli era parso di vedervi
l immutabilità della sua tristezza. Ma, mentre allora gli
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Letteratura italiana Einaudi
Federigo Tozzi - Il podere
restava come un compenso dentro la coscienza, ormai
trovavasi di fronte alle cose, come una inimicizia. Anche
il suo podere era un nemico; e sentiva che perfino le viti
e il grano si farebbero amare soltanto se egli impedisse a
qualunque altro di doventarne il proprietario. La casa
stessa gli era ostile: bastava guardare gli spigoli delle
cantonate. Se non aveva l animo di distruggerla e di ri-
costruirla, anche la casa non ce lo voleva. Da tutto, la
dolcezza era sparita.
L avvocato gli aveva detto che era riescito a rimanda-
re di due mesi la causa; e Remigio sperava che finisse
senza che Giulia vincesse. Ma, intanto, s aggiungeva an-
che la querela di Chiocciolino; e capiva che quattro assa-
lariati, con un ragazzo, non potevano fare in tempo tutte
le faccende. C erano restate le viti da sarchiare: una ver-
gogna grossa; e le viti pativano, piene di succhioni più
lunghi dei tralci, con i filari empiti di erbacce. Tutti le
vedevano, e pareva che non avessero padrone! La terra,
restata soda, vi nascevano le canapicchie e gli stoppioni.
Lorenzo l aveva arata soltanto dov era meno faticosa,
perché le vacche sarebbero crepate dalla fatica; anche se
non avessero avuto poche settimane alla figliatura. Ci sa-
rebbe voluto un paio di bovi, di quelli grossi! Giacomo
li comprava sempre, tutte le primavere; quando non
mancava da governarli a piacere con l erbaio, senza ma-
nomettere il fieno; e li rivendeva quando l erba nei cam-
pi cominciava a finire. Allora, le vacche potevano ripo-
sarsi; e figliavano bene! Tutti gli anni, due vitelli! Le
mandava al pascolo, giù tra i pioppi, dove l umidità del-
la Tressa faceva crescere l erba più alta; e mangiavano
quanto volevano. Tornavano su gonfie! Quest anno, in-
vece, erano magre e sciupate. Stronfiavano anche a tira-
re il carro; e Lorenzo aveva avuto paura che abortissero.
Giacomo teneva almeno anche quattro maiali, per in-
grassarli; e, nell inverno, tre li vendeva e uno lo faceva
scannare per casa. Il podere era arato, e la terra pulita;
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Letteratura italiana Einaudi
Federigo Tozzi - Il podere
ora, invece, cominciavano da per tutto le gramigne; e
mancava il tempo di potare l uliveta.
Anche i solchi acquaioli, che tutti gli anni bisognava
ripulire, restavano interrati; e non servivano più a nien-
te. Così, quando pioveva, l acqua andava giù a scatafa-
scio; guastando le semine.
Poi, bisognava fare altri lavori, per la casa: il pozzo
non reggeva più l acqua; due travi della stalla dovevano
essere rinforzate; e, prima che venisse l inverno, era ne-
cessario trovare da dove la pioggia passava in cantina;
perché tra le botti l acqua ci faceva la melma e ci nasceva
l erba; lunga lunga e gialla. Anche le finestre avevano bi-
sogno d essere riverniciate; e il muro dell aia era stato
spaccato spingendoci il carro carico, senza sapere da chi.
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Letteratura italiana Einaudi
Federigo Tozzi - Il podere
XXII
La notte, il fontone pareva uno specchio disteso sotto
la luna. Attorno, le crete rilucevano; anche perché ren-
devano la luce assorbita durante il giorno.
La luna era là, e sapeva da sé la sua strada; la luna forte
e bella. La Tressa scrosciava e i pioppi avevano messo la
voce. Non c era alito di vento che non si sentisse subito.
Remigio andò ad accarezzare l aratro vecchio e scheg-
giato; ma sempre buono: il vomere, con la punta liscia e
pulita, luccicava; quasi gli rispondesse a quel modo.
Picciòlo, dopo il bisticcio per il vitello che ripigliava
vigore, non gli parlava più volentieri come prima; e per-
ciò, benché anche lui fosse fuori di casa, non gli si avvi-
cinò. Remigio avrebbe voluto chiamarlo; ma stette zitto,
per non dargli troppa confidenza e per paura che gli rin-
facciasse quelle parole dette in un impeto d ira: voleva
imparare a contenersi con gli assalariati, perché sentisse-
ro da sé che era buono.
Quando andò a dormire, la luna era già bassa e così
vicina a un poggetto come se fosse per entrarvi dentro.
Egli guardò i soffitti di tela intonacata; che, raggriz-
zandosi, si sfondavano e gonfiavano. Anche i muri erano
sporchi; e veniva via la calce a strusciarci appena la pun-
ta di un dito.
Un ora dopo la mezzanotte, fu destato da un bagliore
quasi rosso; che si faceva sempre più vivo, illuminando
distintamente tutto ciò che era dentro la camera. Da pri-
ma Remigio non capì che fosse, e si alzò a sedere sul letto.
Poi, incuriosito e impaurito, andò alla finestra: la muc-
chia del grano era un immensa fiamma; con una punta al-
ta che il vento moveva a pena. Mandava tanta luce attor-
no che anche tutta la pendice del podere era illuminata.
Svegliò la matrigna; e, battendo i piedi sul pavimento,
gli assalariati.
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Letteratura italiana Einaudi
Federigo Tozzi - Il podere
Escì per il primo; e gli pareva strano che la mucchia
bruciasse; tanto, qualche ora innanzi, l aveva guardata
con un sentimento di calma. Le manne del grano, acce-
se, si spandevano in terra; finendo di consumarsi. La
mucchia era sempre una fiamma sola, quasi silenziosa;
mentre, dentro, si sentivano scrocchiolare i chicchi del
grano; come se il fuoco li masticasse.
Quando una manna era per spegnersi, restavano tanti
lunghi fili di bracia; che, a poco a poco, doventava cene-
re. Dopo qualche minuto, anche gli assalariati erano su
l aia, mezzo svestiti, guardandosi nel viso. Nessuno par-
lava. Si sentivano le donne, dalle finestre, raccomandarsi,
quasi sottovoce, a Dio e alla Madonna. Poi, Luigia gridò:
Pigliate l acqua dal pozzo e buttatela sopra!
Tordo rispose:
È inutile. Piuttosto, guardiamo che il fuoco non si
attacchi alla capanna.
Lorenzo, che aveva fatto il soldato, e s era ritrovato
ad altri incendi, disse:
Leviamo tutto quel che c è che possa bruciare.
Tirarono via l aratro, scansarono il carro; e spazzaro-
no i fuscelli e le foglie secche su l aia. Disse Picciòlo:
Che non entri qualche favilla in capanna! Bastereb-
be una favilla sola.
L uscio è chiuso; ma la finestra aperta.
Bisogna chiudere anche quella.
Bisognerebbe entrare dentro!
Appoggiamoci, con la scala, una tavola di fuori: è lo
stesso.
Trovarono una tavola e ve la puntellarono; ma le fa-
ville potevano entrare anche di tra le tegole del tetto.
Se si provasse a buttare un poco d acqua attorno?
Meglio farebbe la terra! L acqua si può avere sol-
tanto un secchio per volta.
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